Sono circa le sei del mattino e, come molte volte, sono al mercato domenicale di Porta Portese, rovistando in un banco di vecchi libri, quando mi si avvicina una signora e mi dice: mi scusi, lei è Mormorio? D´istinto, sicilianamente rispondo: ´Per servirla´. ´Grazie´, fa lei, ´io sono la fotografia´. ´In che senso?´, chiedo. ´Nel senso che, così come lei è Mormorio, io sono la fotografia´. Per dissimulare l´imbarazzo di sentirmi al manicomio, sorrido e mi rimetto a rovistare fra i libri. Ma, preso da un dubbio indefinibile, subito dopo alzo lo sguardo, per guardare la signora. Con grandissima sorpresa, vedo che non c´è più. ´Scusi´, dico alla proprietaria del banco che conosco da quasi vent´anni, ´lei la conosce quella signora che era qui un minuto fa?´. ´Ma quale signora, dottò´ fa lei e, indicando con la mano un altro che come me stava cercando fra i libri, aggiunge: ´Stamattina, oltre a lei e a questo signore qua, io non ho visto ancora nessuno´. A questo punto, vengo svegliato da un´accavallarsi di forti e sguaiate risate di ragazzi sotto le mie finestre. Accendo la luce e guardo la sveglia. Sono ancora le tre. Nello stesso istante, penso a quello che ho sognato e capisco: ecco, mi dico, è lei che deve parlare, la fotografia in persona.
(dalla presentazione)
... così lo scrittore, Diego Mormorio, racconta come è nata l´idea di scrivere questo monologo teatrale in cui a parlare è lei in persona: la fotografia.