Quando is sonaggiargiargios di Tonara (i fabbricanti di campanacci) estraggono i campanacci dal crogiolo ddos depent intrare in sonu; cioè debbono far si che possano emettere quei suoni ancestrali e suggestivi per i quali sono stati creati. Così, grazie a pochi sapienti colpi di martello de su pitiolargiu, quei pezzi inanimati di lamiera coperti di ottone, come per incanto, cumentzant a tinnire ed una volta intraos in sonu formano un´armonia che l´orecchio attento del pastore riconosce come quella che sarà la musica del suo gregge. Parlare una lingua antica come il sardo, ricostruirla, sentirne gli effetti musicali e riscoprirla est comente a intrare in sonu is sonaggias, cioè è come riportare alla luce e riempirli di nuovi significati i suoni, i colori, le manualità, i gesti, il ritmo dei canti e delle preghiere della nostra gente; perché anche nella lingua sarda, che poi è anche il prodotto di quei gesti antichi e di quel saper fare (su ischire fàere e is artes antigas e is traballos), c´è tutta l´armonia ancestrale de su tinnire de sonaggias e pitiolos, c´è la sapienza antica dei mastri sonaggiargios, c´è il ripetersi dei gesti di una tradizione arcaica che si rinnova nel tempo, ci sono i suoni e i colori delle tradizioni e di un vissuto che ancora appartiene a noi tutti. Ecco perché questo libro, peraltro ricco di immagini, si intitola "Intrare in sonu - sonos e colores de su sardu". Ma questa pubblicazione, nata dall´esigenza di documentare con apposite tavole l´uso ed il significato di molte parole della lingua sarda, può anche essere definita come un libro illustrato, perché a corredare qui e là il testo sono state inserite tante immagini che cercano di raccontare meglio al lettore le suggestioni della lingua sarda anche attraverso i colori delle nostre campagne, la fatica del lavoro in montagna, i rituali della famiglia e della quotidianità, il mutare del tempo e delle stagioni. Sono dunque pagine fatte di quei colori e di quei rumori che hanno popolato un vissuto non tanto lontano nel tempo; pagine che cercano di raccontare una lingua, quella sarda, che, aldilà delle indiscutibili differenze tra le diverse varianti, può essere considerata come una lingua comunque unica. Il libro è cos´ì strutturato: nelle pagine introduttive si parla per sommi capi delle caratteristiche delle due varianti principali del sardo: il campidanese ed il logudorese, dando conto dei diversi esiti lessicali, e senza però ignorare il fatto che fra queste due varianti, parlate da circa il 70% dei sardi, ne esistono altre che hanno caratteristiche comuni sia al logudorese che al campidanese. Nella seconda parte della pubblicazione sono riportate delle tavole sinottiche semantiche che costituiscono il tentativo di creare un legame tra il lessico e le regole della lingua, oltre che documentare visivamente alcuni termini messi insieme secondo criteri di coerenza logica e semantica. Le tavole sono state arricchite da centinaia di immagini dalle quali sono stati cancellati tutti i contorni per mettere in risalto il soggetto/oggetto principale. Lo scopo è quello di creare un nesso accattivante tra le parola e l´immagine stessa, e far eventualmente precedere al ricordo della prima la visione dell´oggetto raffigurato per richiamarne la definizione, oppure indurre la lettura del termine così da collegarlo poi alla sua rappresentazione fotografica; una lettura sincronica di colori e parole, di immagini e suoni, o più semplicemente, la teoria degli impulsi subliminali applicata all´apprendimento della lingua sarda ed al suo insegnamento nelle scuole? Forse sì, e potrebbe essere l´applicazione di un metodo che deve comunque portare ad una riflessione: senza l´introduzione dell´insegnamento della lingua sarda nelle scuole essa è destinata non solo ad essere irrimediabilmente contaminata dalle lingue dominanti, ma addirittura a scomparire del tutto nel breve volgere di qualche decennio.